Curiosità
Dal 2013 potete trovare i nostri prodotti anche a Dubai!
Il 09 dicembre 2013, infatti, Oscar Farinetti, Luca Baffigo e l’ambasciatore italiano hanno tagliato un emblematico nastro di pasta tricolore, per inaugurare ufficialmente il primo Eataly in Medio Oriente.
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Barone all’interno di Eataly
All’interno di questo negozio-ristorante, interamente dedicato all’agroalimentare italiano di qualità, il Caseificio Barone è stato chiamato per gestire il mini caseificio artigianale, dove ogni giorno vengono prodotte mozzarelle e scamorze.
Eataly Dubai si sviluppa su una superficie di circa 2000 metri e, grazie ai suoi circa 10 punti di ristorazione tassativamente italiani, garantisce un’offerta che si distingue per qualità e completezza, prevedendo anche la possibilità di fare acquisti di prodotti gastronomici e una serie di informazioni per conoscere meglio i nostri cibi.
Vi aspettiamo!
Il negozio-ristorante è situato a pochi metri dalla famosa cascata all’interno del Dubai Mall, il centro commerciale con il maggior numero di negozi al mondo, che affaccia sul grattacielo più alto del pianeta, il Burj Khalifa.
Venite ad assaggiare i nostri prodotti presso il ristorante oppure acquistate le nostre mozzarelle, spedite freschissime dall’Italia, alla gastronomia.
E non dimenticate di assaggiare la pizza, Eataly Dubai ha vinto il premio Best Italian Pizza in the UAE! Vi aspettiamo!Dal 2016 la mozzarella Barone è arrivata anche a Riyad e Doha!Dopo anni di presenza a Dubai, Eataly ha aperto due nuovi punti vendita, a Riyad (Arabia Saudita) e Doha (Qatar).
Eataly Dubay
Venite ad assaggiarla presso Eataly al Dubai Mall e, da marzo 2016, anche al Dubai Festival City!
Progetto Mollisano
Il Caseificio Barone, in collaborazione con l’ATS Mollisano, ha portato avanti il progetto di ricerca “Innovazioni per il miglioramento della competitività e dell’impatto ambientale di produzioni lattiero-casearie molisane a base di latte podolico”.
Per ulteriori informazioni visita la pagina: barone.it/mollisano
Progetto InLatte
Il Caseificio Barone, l’Università degli Studi del Molise e l’Azienda Agricola Discenza Gianni hanno portato avanti il progetto di ricerca “Trasferimento di innovazione nella filiera lattiero-casearia per la valorizzazione del caciocavallo molisano e il recupero di sottoprodotti di lavorazione”.
Per ulteriori informazioni visita la pagina: barone.it/inlatte
Progetto Mina
Dal 2007 al 2008 il Caseificio Barone, in collaborazione con l’Università degli Studi del Molise e il Parco Scientifico e Tecnologico Moliseinnovazione, ha portato avanti un progetto di ricerca teso alla produzione di nuove tipologie di formaggi.
Protagonista del progetto è stato il caciocavallo, formaggio a pasta filata di latte vaccino.
Non tutti i tipi di latte sono adatti alla filatura come il vaccino. Questa tecnica di caseificazione, infatti, risulta difficilmente praticabile con il latte ovino o caprino. Il fine della sperimentazione è stato proprio questo: produrre un tipico formaggio a pasta filata, il caciocavallo, con tipi di latte non adatti al tipo di lavorazione, ma riuscendo ad ottenere un prodotto di elevata qualità.
Miscelando ad arte latte di capra, di pecora e di vacca, abbiamo ottenuto un prodotto tipico come il caciocavallo ma con sapori e aromi del tutto nuovi, riuscendo a soddisfare sia i parametri di laboratorio che i palati di chi, nel corso del tempo, ha testato i prodotti.
Prova della validità della ricerca e motivo di vanto per noi è stato il riconoscimento, come miglior tesi di dottorato del settore agroalimentare, dato ad uno dei ricercatori che ha seguito il progetto.
La storia della Mozzarella
Vi siete mai chiesti dove sia nata la mozzarella? Comunemente si considera la Campania come la regione che avrebbe dato i natali al più noto tra i formaggi, grazie anche all’ampia produzione di mozzarella di bufala in regione.
Ma le cose non stanno esattamente così!
Secondo il professor Del Prato la sua origine, certamente del meridione d’Italia, deriverebbe “dall’esigenza di trasformare latte in cattive condizioni di conservazione. Attraverso la filatura a caldo, infatti, si ridurrebbe l’acidità. Le paste filate, mozzarella in testa, costituiscono il maggior contributo che l’Italia abbia dato all’industria casearia degli ultimi anni. (…) La filatura è la proprietà in virtù della quale una piccola quantità di cagliata*, portata ad elevata temperatura, diventa plastica e può essere tirata in filamenti continui di lunghezza superiore al metro”.
Infatti il termine stesso mozzarella deriva dalla pratica di mozzare, quindi da “l’operazione manuale di strozzatura della matassa di pasta filata a mano per ottenere gli ovuli caratteristici”.
Ma torniamo un po’ indietro negli anni…
Il più antico documento sul quale appare il termine completo “mozzarella” risale al XVI secolo, redatto da un cuoco presso la corte papale. Ma un documento anteriore, risalente al secolo XII, testimonia che i monaci Benedettini di San Lorenzo in Capua usavano offrire, in occasione di alcune festività religiose, un pezzo di questo formaggio (definito mozza o provatura) “per antica tradizione”. Quest’ultima affermazione lascia evincere che tale produzione già allora non fosse ritenuta recente.
Tali monaci si stabilirono a Capua nell’811, in seguito alla sconfitta del 10 ottobre del duca di Benevento, da cui erano protetti, ad opera degli arabi, alleati del duca di Napoli. I Benedettini sopravvissuti dovettero scappare da San Vincenzo al Volturno, riuscendo fortunatamente a trovare riparo presso la fortezza longobarda di Capua. Qui fondarono, poco dopo, il monastero di San Lorenzo. In seguito, a poca distanza, nacque la città di Aversa, oggi nota per la produzione di mozzarella di bufala.
L’arte della preparazione della mozzarella sembra, quindi, essere stata esportata dai monaci Benedettini della famosa Abbazia di Castel San Vincenzo, in Molise. Guardacaso, in questa regione è tutt’oggi molto diffusa la preparazione della mozzarella a base di latte vaccino.
In Campania, solo a seguito dell’importazione del bufalo nel XIII secolo, s‘iniziò a trasformare il latte di questo bovino. Tale pratica si sviluppò su più vasta scala nel Seicento, fino ad arrivare all’attuale grande produzione nella zona di mozzarella di bufala. Ma non di vacca. Questa è una tradizione che – sempre più documenti lo confermano – va attribuita al Molise.
Certamente non è un caso che la tradizionale “scamorza molisana” sia patrimonio di questa regione! Tale parola, deriva da “sca-mozza-re”, che significa appunto “privare di una parte”. Il morfema “mozza” risulta quindi, proprio alla base del termine.
Se è vero, come c’insegna l’etimologia, che ogni termine contiene nel suo corpo una verità sulla sua origine… non è difficile giungere alle conclusioni!
Ancora oggi molti molisani usano distinguere la più sostenuta “scamorza appassita” dalla più morbida e lattiginosa “scamorza fresca”, ovvero la “madre” della mozzarella. Un’ulteriore conferma che il linguaggio prova la tradizione!
* Formaggio prima del completamento del procedimento produttivo.
Riferimenti bibliografici:
O.S. Del Prato, Trattato di tecnologia casearia, Tecniche Nuove
M. Pelagalli, I grandi formaggi della Campania, Calderini
L. Perrella, Storia dell’Industria Casearia del Molise, Unimol
La storia del formaggio
Fino a circa 20.000 anni fa il formaggio come lo intendiamo oggi non esisteva. A quei tempi, l’uomo allevava gli animali e ne traeva anche il latte. Una sostanza preziosissima se pensiamo che la carenza di cibo era la principale causa di mortalità; insieme alle problematiche igieniche causava la morte di 7, 8 bambini nati su 10. Spaventoso! Pensiamo, quindi, a quanto fosse importante e quale gravissimo problema comportasse il fatto che questo alimento potesse essere conservato solo per uno o due giorni.
Ad un certo punto della storia, presumibilmente in Mesopotamia, tra i 18.000 e i 10.000 anni fa, un allevatore dovette trasportare con sé del latte in un contenitore ricavato dallo stomaco di un ruminante che, cedendo un particolare enzima ad una determinata temperatura, produsse uno strano fenomeno: un coagulo (una sorta di yogurt compatto). Era nato il formaggio! L’allevatore eliminò la parte liquida, assaggiò la parte solida e si accorse che era buona. Dal punto di vista dell’uomo moderno sembrerebbe solo la scoperta di un altro alimento rispetto a quelli conosciuti, per una maggiore soddisfazione del palato. Non fu solo questo per il nostro allevatore primitivo. Per lui fu una vera rivoluzione in campo alimentare: senza volerlo aveva scoperto il modo di conservare il latte per giorni, settimane o mesi in tempi in cui questa capacità faceva la differenza tra la vita e la morte.
Il latte, inoltre, che era voluminoso e pesante, una volta ridotto a formaggio pesava ed ingombrava un decimo rispetto a prima, quindi poteva essere anche facilmente trasportato! Insomma, in un colpo solo quest’uomo produsse la possibilità di spostare facilmente il cibo nello spazio e nel tempo, un’innovazione che gli diede la facoltà di avere un grosso vantaggio rispetto agli altri popoli. Non è, infatti, un caso che proprio la Mesopotamia sia stata la culla della civiltà occidentale e che da quelle zone si siano mosse le popolazioni che hanno poi colonizzato l’Europa.
Nel corso della storia furono ideate moltissime varianti del formaggio, ma l’innovazione più importante, successiva solo a quella originale, avvenne solo molti millenni dopo. Non si sa esattamente quando sia avvenuta questa scoperta, ma sappiamo con certezza dove: nell’Italia Centro-Meridionale. Parliamo dei formaggi a pasta filata (mozzarella, scamorza, provola, caciocavallo, ecc.).
Prima di questa innovazione, il formaggio si produceva semplicemente sfruttando la temperatura del latte appena munto ed aggiungendovi un enzima detto caglio, per produrre la separazione del liquido (siero) dalla parte solida; quest’ultima, detta cagliata, veniva messa in appositi contenitori per darle la forma del formaggio. Qui finisce il procedimento classico.
Che cosa ha aggiunto l’antico allevatore meridionale? Con un particolare procedimento, a determinate condizioni di temperatura e maturazione, ha miscelato la cagliata (che è la parte solida derivante dalla separazione del latte) con l’acqua bollente, provocando il cosiddetto fenomeno della filatura. Grazie a questa tecnica è possibile ottenere una pasta filante, come una gomma americana, che può essere modellata a piacimento.
I vantaggi di questa nuova tecnologia sono stati molteplici. Con un’unica innovazione è stato possibile ottenere un quantitativo maggiore di formaggio rispetto alla materia prima, una sanificazione del prodotto grazie ad una sorta di pastorizzazione ante litteram, dovuta al contatto con l’acqua bollente, e la possibilità di ottenere numerose varianti in termine di consistenza e formati. Ancora oggi la maggior parte dei formaggi tipici dell’Italia meridionale è prodotta con questa tecnica, come ad esempio la mozzarella, la scamorza, il caciocavallo, la burrata, la provola, la treccia, ecc.
Oggi la mozzarella, sulla scorta anche dell’utilizzo in cucina e sulla pizza, costituisce il formaggio più consumato al mondo. Forse, però, non tutti conoscono la storia antica ed articolata di questa prelibatezza (vedi anche la storia della mozzarella).
Riferimenti bibliografici:
O.S. Del Prato, Trattato di tecnologia casearia, Tecniche Nuove
M. Pelagalli, I grandi formaggi della Campania, Calderini
L. Perrella, Storia dell’Industria Casearia del Molise, Unimol